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Le poesie del Premio Mino Maccari

Poesie 2007

In ascolto di mio padre
(Buttero o gaucho = emigrante)

Spazi aperti raccontami e del mare
laggiù in Maremma
l'oro delle crete
le strade bianche
vuote di parole
su cui il cielo si appoggia
e il silenzio è una voce.

Ricordami l'odore di ginestre
sfuggito all'abbraccio geloso del vento.
E dimmi dei cavalli
i segreti negli occhi
con dentro le orecchie la voce delle onde.

Luoghi m'invento dove sei passato
le zolle che hai sfiorato con la mano
e sguardi indovino sull'oro del grano
al riso dei papaveri...
Lontano.

Raccontami la vita
l'avventura.
«Don't cry...» Fu dura un tempo l'Argentina.
E dimmi delle pampas
di chitarre
e a quante lune concedesti il cuore
le sere che discesero nel cerchio
di genti volte a un canto intorno al fuoco
sotto stelle curiose
e lei
la luna
per un attimo dimentica di andare.

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Foglie morte

Nella mia vita è arrivato l'autunno,
con colori che ancora mi stupiscono,
foglie morte che al vento si rincorrono,
in cerca di stagioni che non tornano.

Volevo provare ancora un giorno,
il desiderio di un lontano incontro
con chi giocò, proprio con il mio cuore,
la prima mossa della partita "amore".

Nell'età in cui la vita è un libro bianco,
gioia e tristezza parti di un solo plenilunio,
il pensiero di un furtivo incontro,
faceva fare al cuore "capriole"
e nascer nella mente ansia e stupore.

Ti ho atteso, sperando, sino a sera,
quando le ombre s'insinuano nel borgo
ed i fantasmi dei perduti amori,
danzando con il vento fra le pietre,
sembrano sussurar vecchie canzoni.

Si è fatto tardi. Tu più non verrai.
Hai lasciato cadere il mio richiamo
come le foglie morte in uno stagno,
dove dolci e tenaci i miei ricordi,

galleggian come ninfe colorate,
ultimi fiori d'un estate che finisce
salutando un autunno che stupisce
la vita mia, ormai senza sereno.

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L'inferno

L'inferno è il tempo ed il luogo dove non ci sei,
l'inferno sono i tuoi occhi che non mi guardano
il tuo corpo che non posso stringere.
L'inferno sono le poesie
che non sentirò mai leggere dalla tua voce
e le parole che non mi dirai mai.
L'inferno è la tua dolcezza,
che tieni celata per non farmi male
ma che incauta erompe e mi travolge
come onda, le conchiglie sulla riva.
L'inferno è cercare le parole per dirtelo
e sapere che non le leggerai mai.

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I vecchi di paese

Ritornano, ossessivi,
silenziosi itinerari alla mente
e stanno i vecchi di paese
seduti sulle attonite soglie
a masticare retaggi antichi
nell'ora rossa della sera,
che gonfia impronte dentro al petto scosso.

E inventano monologhi
che li legano come giunchi all'ombre evaporate
sulle pareti erose della vita.
All'odore di una solitudine
serrata nelle pieghe della pelle,
sul respiro contratto delle foglie in controluce,
perdono lo sguardo spento e rassegnato
nella scomposta danza dei colli solitari,
dove le zolle ormai in abbandono
non conoscono più grano, né vigne al sole.

Si riempie l'aria, nutrita da rivoli di brezza,
di un brusio lento
simile ad accenni balbettati di preghiera
che culla la terra in lacrime
all'affacciarsi delle stelle ancora.
Stelle come frantumi di memorie,
come umori tristi sullo scialle della prima notte,
come cantilene inzuppate
di lunga intraducibile malinconia.

Sono nuvole bianche in dissolvenza,
i vecchi di paese,
che solcano fuori rotta l'ultimo cielo di grafite
ad invocare un sogno,
un sogno dal referto insostenibile.
Un sogno perduto in mezzo all'erbe
sanguinanti di papaveri
ed alle stoppie bionde
dopo la ferita della falce.

Un sogno che s'è portato via
la macina insensibile degli anni.
Stanno seduti sulle attonite soglie
i vecchi di paese e aspettano...
Aspettano, aspettano sempre
ciò che non ritorna,
finché non s'affaccerà e li coglierà
quel tramonto estremo
sullo strato della sorte già segnata,
che non allargherà altri orizzonti
e non avrà risacche d'echi
nelle anguste strade di paese,
dove annegano e si perdono
residui sparpagliati aliti di vita.

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Donna
"Dall'alba al tramonto"

Solo era l'uomo all'alba della vita
nel giardino del mondo, ed abbracciando
gli orizzonti, l'immenso, l'infinita
natura tutto, e tutto dominando
ma qualcosa mancava, la tristezza
sognando l'assopì come carezza.

Un sogno ed un risveglio nell'azzurro
dolce figura gli si erge accanto
s'incrociano le mani nel sussurro
del vento, e correndo nell'incanto
non è seconda lei ne lui più forte
solo l'amore unisce la sua sorte.

Nella cornice della vita allora
donna, la tua figura si è arricchita
moderna, antica, la possiedi ancora
non solo nel trasmettere la vita
ma in ogni campo, l'uomo a te vicino
trova la forza per il suo cammino.

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Dha frascera

'Ntornu dha frascera, tiempu 'rreta,
vitivi dhe famijie 'ccote 'ccote,
'a sciurnata fuscia queta queta
e quante cose se cuntaune dhe 'ote!

Cu nu beddhu focu 'ntra dha frascera
e lu friddu ddha ifore ca 'mpetravi,
quiru ca sintivi parìa se 'vvera
e puru 'ntra 'llu 'core te scarfavi.

Lu rusariu e li cunti se ticiune
quannu se ncucchiaune tutte 'e vicine
e t'a frascera risi e cautu 'ssiune
puru ca erine tiempi culle spine.

"Fiata forte, fijiu, su ddhu craune,
'u focu mpizzicatu cu mmantene
ca teni 'ncora crestu lu milune
e te lu munnu ha' ccanuscire 'e pene":

'ste cose te sintivi sempre tire
puru ca quarch'ota nu' tte piacìa,
poi capivi cce bbulia dhu sire
ca te l'anni dhu pisu se sintìa.

Moi, nu' sse sentine cchiui 'i cunsiji,
'a gente crite ca capisce tuttu,
se acchine picca 'i siri culli fiji
e dhu bellu te prima s'haie ruttu.

Traduzione: "Dha frascera"

Intorno a quel braciere, tempo addietro,
vedevi quelle famiglie assai raccolte,
la giornata correva quieta quieta
e quante cose si raccontavano quelle volte!

Con un bel fuoco in quel braciere
e il freddo la fuori che pietrificavi,
quello che sentivi pareva s'avverasse
e pure nel cuore ti scaldavi.

Il rosario e i racconti si dicevano
quando si radunavano tutte le vicine
e dal braciere risate e caldo uscivano
anche se erano tempi con le spine.

"Soffia forte, figlio, su quel carbone,
il fuoco attizzato che mantenga
che tieni ancora acerbo il melone
e del mondo devi conoscere le pene":

queste cose ti sentivi sempre dire
anche se qualche volta non ti piaceva,
poi capivi che voleva dire quel padre
che degli anni quel peso si sentiva.

Ora, non si sentono più i consigli,
la gente crede di capire tutto,
si ritrovano poco i padri con i figli
e quel bello di prima si è rotto.

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Scherzi de la fame (Inverno '44 -'45)

Tante volte a repenzo quand'erene a la grotta
'ntanati come lupi, matina, giorno e notta;
però, per dire el vero, da poeri sfollati,
anche cugì malmisi, erene organizzati:
a scendeene a ca' nostra ogni do o tre matine
per traslocà nel bosco un branco de gaghjine.
Fra i riccordi più beji a ce n'ho almeno do:
siguiteme, lettori, ché qualco' a ve dirò.

Quand'el cannon i chjiocca, mentre el fronte i ghji avanza,
un dei tanti problemi ghjiè quejio d'impi la panza!
In un pajiolo, al foco, un giorno a un'ora tardia,
aéene miso un gajio; el can i ghjie fea... la guardia.
No', per esse' siguri propio al cento per cento,
dei sassi sul coperchjio, senza perde' un momento,
a aéene piazzato, per esse' previdenti:
per pode' quel bel lesso mettere sotto i denti,
perché a c'era piricolo che quel grasso pennuto
qualchidun lo podesse sbaffare in un minuto.

A parlo de tre giojne carine, spenzierate,
ma purtroppo in quel tempo sempre tanto affamate.
Mo, quela sera buia, sotto quel celo fosco,
un udurin soave i se spandea nel bosco.
Le tre donzelle, cupide, al fenne un prugittin:
«Stassera, se a 'un sian stupide, a se fa un-e-spuntin.
Te t'alza i sassi al volo, te invece abbada al can;
me a rumo nel pajiolo: coraggio, dian de man!»

Cugì le nostre complici al misen presto in atto
quel ch'era stabilito: cumpiuto al fu el misfatto!
Un colpo ch'el pajiolo i venze scoperchjiato
al presene el poiastro che a gajia i s'era alzato;
a se lo schiccheronne, con gran suddisfazzion
e al bevvene anch'el brodo, per manda' giù el boccon.
E noaltre padrone, quand'al venze le otto,
a scesene a vedere se el lesso i ghjiera cotto.

«O porca miseriaccia, e qui, mo, che a c'è stato?
Del gajio nun c'è traccia, el brodo i ghjiè sceccato!»
Intanto le colpevoli a se tinien per man,
dicendo a mezza vocia: «I sirà stato... el can?!»
E no': «Che t'era a fare, canaccio sciamannato?
Quand'è vinuto i ladri, com'è che 'un t'ha abbaiato?»
«Comunque de la cosa abbian capito el verzo:
a chi se l'ha magnato, ghjie 'ndesse per traverzo!»

Qui nun ce fu risposta perché a chi al tocca, al tocca
e no'a restonne stupide co' e-j-acquolina in bocca.
Intanto le tre "Grazie" a se ne 'ndenne fora,
sdraiate ne la ruffola, a ride' per un'ora.
A diciott'anni o venti, a Roma come in Francia,
'un se conoscia maschiri, se al bronciola la pancia!

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Siènsio

Le paure nasse,
'te le noti più scure
tra saète e s'ciantìsi.
Sito te stè,
e no te me dìsi ninte,
no te me vardi.
El to siènsio xe come
tarlo su 'n toco de legno
che magna pian, pian.
Voria discòrare co ti
par dopo desmentegare!
Senpre più duro
xe starte vissin,
capire
cosa che te gira par la testa.
…Voria...
Che te spacassi sto siènsio
co un segno de amor.

Traduzione: "Siènsio"

Le paure nascono
nelle notti più scure
tra lampi e saette.
Silenzioso sei,
non mi parli,
non mi guardi.
Il tuo silenzio è come
un tarlo nel legno
che scava piano, piano.
Vorrei parlare con te
per dopo dimenticare!
E' sempre più arduo
starti vicino, capire
cosa stai pensando.
…Vorrei. . .
Che tu rompessi questo silenzio,
con un gesto d'amore.

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A m'son fatta la protesi

O Dio me com ason aruvinat!...
Una volta aiavev i denti a an'avev l'pan
mo caiò l'pan a nò pù i denti.
Ma i me amici i man dit:
«Vatil a metter cuscì t magn quel che t'vò.»

Me bel cunvint aiò dat aretta e
a m'son mis una bella protesi,
mo aiò i denti, bianchi e tutti in fila
e amar trov anc un bel soris simpatic
chi m'è' subit' pasat quand i m'an dat l'cont.

Aiè mancat pog ca m'ven un colp.
O Dio me com ason aruvinat!...
A nò pù un bagaron
e mo caiò i denti a nò pù i soldi da comprar l'pan.
A m'magnerè le man e a strozerè i me amici chi man consigiat .

Me al sapev caier l'truc
ì e stat l'Euro i man dit.
O Dio me com ason aruvinat!...
A sent sonar, a m'fruc n'saccoccia
t'ho a m'è armas du franchi.

E mo cos'ai fai con stichì?
Al so me cose ai dev far
E m fai domanda e risposta tut da me.
A m'n vai dal me amic cantinier
a ber do biceri d'cl bon
p'r armetterm un po' a post
e tiran un pò su
da sta tremenda situazion.
L'vin almanc i n'a trucchi, i va zù da lu
con protesi o non protesi
a brind a la salute.

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Pioggia di lacrime

Come cristallo argentato
le mie gocce di solitudine
abbandonano l'occhio,
imbattendosi in un pianto.

Lacrime pesanti,
acqua di un ruscello alla luce
che silenzioso si sfoga
dopo una ferita al cuore.

Gli occhi vedono sfuocato,
il singhiozzare
mi aiuta a dimenticare il peggio,
mentre attendo la serenità.

L'aria mi rinfresca il viso,
la mia mente pensierosa
non riesce a non ricordare,
quei momenti di dolore.

Il cuore in gola,
le mani giunte in una preghiera,
gli occhi chiusi,
un profondo respiro
e il ruscello cessa di scorrere...

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Amici

Nel girotondo stellato si trovano amici,
amici che ti parlano
e la musica rimbomba
nel silenzio del tramonto,
in esso ogni nuvola è un bambino
che aspetta un compagno a cui stringere la mano.

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Poesia del nulla

Potrei stare qui a raccontare,
a spiegarti i miei pensieri,
a ridere con te.
Potrei, ma non ora.
Vorrei rivelarti i miei segreti,
stare con te e parlare…
ma non è il momento.
Guardami ora…
Scruta nel mio animo,
compatisci la mia sofferenza,
la mia gioia.
Guardami...
Incrocia il tuo sguardo vivo,
con il mio già spento.
Vestimi con la cura di una madre,
abbracciami con l'affetto di una sorella...
Perché il tempo per il sospiro è finito,
è l'ultimo attimo
che mi rimane,
è un attimo di addio.

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Speranza

Oh speranza,
tu vieni da lassù
dal cielo blu.

Tu stendi il tuo braccio
a chi spera e crede in te.

Oh speranza,
luce dei miei occhi.

Quella stella vive nel cielo blu,
come la speranza
che viene da lassù.

Oh speranza...
Tu credi in essa
come in te stessa.

Oh speranza,
aspettarti
è una lieve danza.

Tu credi in essa
e non soffrirai
mai più.

Oh speranza,
tu vieni da lassù,
dal cielo blu.

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